giovedì 13 gennaio 2011

FUOCHI D’ARTIFICIO




(MEXICAN GRAND PRIX PART I)





"I believe that it will be celebrated by succeeding generations as the great anniversary festival... it ought to be celebrated by pomp and parade, with shows, games, sports, guns, bells, bonfires and illuminations from one end of this continent to the other..."
[John Adams, secondo presidente degli USA; scrivendo a sua moglie a proposito della giornata dell’indipendenza] 









(fate partire il pezzo e ascoltatelo, buona lettura..)








Domenica 4 Luglio 1971.
Circa mezzogiorno.

Una furia maledetta corre lungo il serpente americano. Due tipi: un uomo ed una donna; non più di 30 anni a testa, lanciati a velocità folle dentro una Plymouth Fury rossa.
Le dita acuminate del sole alto sul confine che corre fra Colorado e New Mexico picchiano la piana desertica come lingue di fuoco carezzanti la polvere. Cocenti. Un vento rovente soffia da sud.
Le unghie di lei, smaltate di rosso sgargiante, battono nervose sul cruscotto. A ritmo. Mastica la gomma e prende bocconi d’aria emettendo sospiri veloci. Sbuffa.
Un caschetto biondo incornicia meravigliosamente quel suo viso delicato che guarda fuori dal finestrino attraverso gli occhiali da sole. Indossa un t-shirt bianca, senza reggiseno, e dei jeans scoloriti con uno strappo aperto all’altezza del ginocchio.
L’orizzonte liquido tremola seguendo i movimenti delle correnti d’ aria rovente che evaporano dalla superstrada; ondeggia sinuosamente davanti la macchina in corsa.
Il respiro rapido del giorno che si contrae trattiene le ruote incollate alla strada . La smisurata desolazione del continente americano si scioglie sul margine della highway che fila dritta in direzione sud.

La Plymouth Fury brilla irrorata di calore, lucente, sfrecciando lungo l’interstate 25.
Liscia. Vermiglia. Veloce.
Mangiandosi miglio dopo miglio la strada.
Come fila.

Lui è alla guida. Cicca in bocca; braccio fuori dal finestrino. Ha addosso una camicia a quadri verdi e bianchi che porta con le maniche arrotolate lungo le braccia abbronzate, semiaperta sul petto; una testa di capelli chiari e folti mossi dal vento che entra dentro. I grossi occhiali da sole appoggiati al naso camuso da pugile. A goccia. Tira dalla sigaretta velocemente. Labbra piene. Nervoso. Gesti sicuri. La mano che tiene il volante è ferma; strafottente. Ha un sorrisino sarcastico stampato sulle labbra mentre assaggia l’orizzonte d’asfalto avanti a sé. Tira qualche occhiata alla biondina al suo fianco di tanto in tanto. Solo strada.
Respirano velocemente. Bruciano.
Sono in corsa senza sosta da più di cinque ore.
Cristo come filano.

<<Finalmente ci lasciamo alle spalle tutto, baby, ce la faremo vedrai!>>
<<Dobbiamo stare attenti J. , ho come il presentimento..>>
 << Tranquilla baby, andrà tutto bene, deve cazzo, ora sta un po’ zitta e ricontrolla i documenti, cazzo.>>

Respiri veloci. Tutto d’un fiato. La decisione. Seriamente, non ci si può pensare su più di  tanto.

Come fila la Plymouth.
Una saetta.
Dietro di loro Denver e Colorado Springs; e Pueblo. Le Rocky Mountains.
Ai lati della strada, sulla Main Street di Trinidad, i caffè colorati e le tavole calde sono gremiti di gente. C’è aria di festa: folti gruppi di operai a giornata in vacanza e di perdigiorno trinca birra scherzano e bevono davanti ai drug store in stile pueblo revival.
Chicani e tipi bruni scuri di sole per il lavoro nei campi o alle trivelle ad est di lì, facce da rednecks, facce americane.
Festoni e coccarde appesi in giro per tutta la città in occasione della festa dell’indipendenza. Tutto pronto per la grande celebrazione americana.
Una coppia di hippie fa l’autostop al margine della carreggiata. Lui in piedi, pollice fuori. La ragazzina, ben tornita con la carnagione chiara e un accenno di lentiggini sul naso, è seduta sui due zaini; ha occhi verdi e le si possono vedere i capezzoli attraverso la magliettina sottile. Seni acerbi.
I suoi capelli chiari si muovono con la brezza; ha l’aria stanca.
Filano come fusi oltre gli autostoppisti, superando quel piccolo esuberante centro abitato, via verso il sud.

La Plymouth sfreccia attraverso il confine. Welcome to New Mexico.
Poche nubi nel grande cielo turchese. Assoluto. Il braccio fuori dal finestrino. Gli occhiali a goccia.
Verso est le file di mulini a vento si stagliano sull’azzurro.

<<Mancano ancora cinque ore alla frontiera, dobbiamo correre Baby K., dobbiamo pestare sull’acceleratore.>>

Lei fuma sigarette una dietro l’altra, si sistema i capelli . Si accoccola al sedile, con i piedi fuori dal finestrino mentre riguarda i documenti da esibire alla dogana. Mani di donna in boccio.

<<Senti, c’è tutto. Non dovremmo avere problemi. Oh cazzo come sono eccitata!>> - tira fuori uno specchietto tondo dalla borsa e si dà una controllata al bel visino - <<Fermiamoci a mangiare. Ho fame, e devo pisciare, fa’ un favore J…>>

Sbatte le ciglia graziosamente, rivolta a lui, stringendo le mani giunte fra le cosce, dondolandosi leggermente, piega dolcemente il capo, tendendosi verso la  sua spalla destra, per convincerlo a fare tappa. Gli bacia il collo.
La ferma mettendole la mano in faccia.

<<Falla in corsa, non ho intenzione di fermarmi se non una volta attraversata la frontiera, ci siamo capiti baby?>>
<< Certo che sei stronzo.>>
<< Devo rispiegarti la situazione? Devo ricordarti cazzo abbiamo dentro quella fottuta borsa lì dietro? Sta zitta.>>



Filano. Di nuovo solo una distesa arida desolata e qualche abitazione di agricoltori di tanto in tanto.

<<Senti, devo pisciare, J. non continuare a fare lo stronzo ti prego..>>
<<Ok baby, alla prossima stazione mi fermo, ma solo perché devo fare il pieno. Lo stretto indispensabile e niente cazzate, bada!>>
<<Oh, grazie al cielo! Non ce la faccio più a tenermela.>>

Respiri veloci. Tutto d’un fiato. La decisione. Seriamente, non si può stare lì a pensarci più di tanto. Sarebbe da scriteriati.

Fermano la macchina ad una stazione in una località anonima fra Watrous e Las Vegas. La Vegas sbagliata. Terra fertile.
Alla pompa di benzina c’è un giovanotto dall’aria tarda. Fulvo e paffuto.

<<Fammi il pieno ragazzo.>>
  
Gli mette in mano le chiavi per aprire il serbatoio sorridendo, da dentro l’auto; lo fissa attraverso lo specchietto, osservandolo mentre armeggia con la pistola, la bionda scende a sgranchirsi poi appoggia il suo bel sedere alla fiancata della Plymouth che scotta dannatamente per il sole. Si sistema gli occhiali provocando il giovanotto che la fissa con la pistola salda in mano.
Il tardo finisce di fare il pieno. Bofonchia il prezzo piegandosi verso J. con una mano sulla fronte per proteggersi gli occhi dalla luce accecante del pomeriggio. Pagano e rimettono in moto.

<<Dai, mangiamo qualcosa, questa è l’unica sosta, poi te ne stai buona fino in Messico, ok baby?>>

Lei risponde con un cenno, e un bacio sulla guancia.
La allontana bruscamente.

<<Non sono in vena di baci baby, voglio portare il culo fuori di qui prima possibile. Veloce. Piscia, mangia e andiamo. Mai abbassare la guardia baby.>>

<<Pfff, tu e le tue menate da boxeur esaltato..>> - soffia la biondina.

Parcheggia la Plymouth fiammante proprio davanti la vetrina del road bar. Smontano, lui sputa a terra e prende la borsa dal sedile posteriore.

Entrano nella piccola tavola calda. Deserta anche quella come tutta la pianura circostante. Non un anima viva a parte un ciccione dietro il banco, una cameriera di mezza età e un ragazzo, anche quello dall’aria poco stimolata, che sta mezzo nascosto affacciato al pass della cucina. Conduzione familiare.
La TV è accesa e parla degli imminenti festeggiamenti che si terranno nella notte in tutto il paese per la festa dell’indipendenza. Ma non c’è aria di festa dentro quel posto. Non più di tanto.
Ordinano un paio di piatti di pollo fritto con patatine, acqua e due fette di cheese cake. Giusto il tempo di aspettare che il ragazzo ritardato frigga quel cazzo di pollo. Baby K. si fionda in bagno. Intanto che aspetta, seduto al tavolo da solo,  la cameriera porta a J. del caffè.
Mangiano in fretta e furia. Piscia anche lui dentro il cesso squallido che hanno tutti i posti che stanno lungo le strade.
Pagano, sorridono, escono. Non una parola a nessuno.

<<E buona festa!>> - fa J.  al grassone dietro il banco, uscendo.
Saluta attraverso il vetro scimmiottando un saluto militare, alzando il braccio con il quale tiene il borsone.

Di nuovo in macchina. Cicca. Braccio fuori.
Pomeriggio inoltrato. Ancora la strada.
Neanche l’ombra di polizia per le strade del New Mexico. 4 Luglio. Festa. E gli straordinari sono costosi. Personale in servizio dimezzato. Dunque pattuglie ridotte all’osso.
Filano. La lancetta del contakilometri segna le 98 miglia orarie.
Due folli che cavalcano un bolide rosso dentro la solitudine della JFK highway.
L’aria sempre torrida. Le nuvole veloci su in alto.
Come fila la Plymouth Fury con quei due tizi dentro. Solo strada e ancora strada.











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