domenica 16 gennaio 2011

LA SETE


Appeso al bancone della vineria
un uomo beve l'ultimo sorso dal bicchiere, 
getta fuori un pugno di monete;
fa un sospiro pesante
all’etanolo, lo spirito gli esce dalle labbra
come a uno sputa fuoco.

Sorride, zitto, all'oste
uscendo con un andatura lenta
da desperado, grattandosi il didietro;
scaracchiando tosse catarrosa, quel
barbamatta aria da marinaio.

Esce in strada a cercare cosa sia
quella sete che si
ritrova ogni momento
attaccata al culo.





venerdì 14 gennaio 2011

FUOCHI D'ARTIFICIO (2)




(MEXICAN GRAN PRIX PART II)





(come per la prima parte, fate partire il pezzo e buona lettura..)




Le cinque circa.
Anche Vegas e Santa Fe rimasti dietro di loro.
Un fulmine rosso ingoia miglia.
All’orizzonte Albuquerque; dove l’interstate 25 si incrocia con la 40esima direttrice est-ovest.
Il grande sole, sempre più rosso sopra i grattacieli della grande città a cavallo del Rio Grande, si stende sui capannoni delle fabbriche di materiale elettrico e sulle avenues addobbate, pronte per la festa. Un unico ciclopico sole, per un continente sterminato.





Poi giù, ancora giù, lanciati verso sud.
Verso l’ora del tramonto sono già a Las Cruces. Respiri veloci. Furia rossa.
Niente tempo da perdere.
La Plymouth Fury brucia nella luce del crepuscolo, scintilla di fuoco.
All’ imbrunire le pianure del New Mexico si assopiscono docili e meravigliose; ululati di cani nella luce tenue e diffusa che si affievolisce. I fari accesi puntano verso il “Mexican Border”  a 30 miglia da loro.

<<Baby, oh , baby, ci siamo.>> - l’ansia sale.  Gocce di sudore colano dalla fronte di J. più che nelle ore di solleone.

Baby K. apre un altro pacchetto di sigarette, non smette di fumare, il vento si fa più mite; pelle d’oca sulle sue belle braccia bianche di seta. Seni turgidi. Anima inquieta che la notte risveglia. E chiama verso sé.
Tira fuori il sacchetto d’erba dalla borsa. Fuma. Per calmarsi.

<<Hey dai un po’ qui, fa’ fumare anche me.>>

Fumano. J. passa una mano sulle cosce di baby K. carezzandola attraverso i jeans, senza mai staccare l’altra dal volante.

<< Hey,una volta passato il controllo della dogana americana è tutto a posto, la polizia messicana ci lascerà passare; in fin dei conti è solo una questione di status..bah! I poliziotti di lì..ancora più scarafaggi che i piedipiatti made in Usa. “Ya Ya, Yankee Yankee!”, dicono, ma alla fine sanno che porti dentro il contante, che spendi, puoi entrare anche col corpo defunto della puttana di loro sorella basta che gli allunghi qualcosa per la famiglia o le troie. – si passa una mano per togliersi il sudore che gli imperla la fronte - Prepara i documenti e lascia parlare me, per il resto sai già cosa fare se ci dovessero essere complicazioni d’accordo, baby K.?>>

<<Yep, rilassati baby.>> - Fa un cenno con il capo; tira forsennatamente dalla sigaretta ravvivando la cenere incandescente della sigaretta.

Eccoli.
Scivolano lisci direzione Messico. Que viva Mexico!
Stelle in ascesa. Liquide.
Arrivano alla dogana e rallentano fermando la macchina in prossimità della sbarra del posto di blocco.

Quattro poliziotti soltanto; due in guardiola e due in piedi, appoggiati alla stanga abbassata, pronti a  controllare i passaporti.
La Tv accesa dentro al baracchino trasmette in diretta le celebrazioni, le parate dalle varie città, i cieli americani pronti a far tuonare la notte con i fuochi d’artificio. Ora sono in collegamento da New York.  I due tizi, annoiati, la guardano, svogliati. Si grattano. Fottuto turno di lavoro festivo. Voglia di far festa pure loro. Patriottici, al servizio per la sicurezza dell’intero paese.

Gli si fanno avanti i due agenti di polizia. Festività. Personale ridotto. Voglia di far fiesta. God Bless America. In uniforme a recitare la solita pagliacciata. Rituali.
Favoriscono i documenti ai due agenti in piedi tesi verso l’abitacolo  della macchina.

<<Sera agente, prego..>> - strappa i documenti di mano a baby K. 

Lo sbirro legge a mente.  

<<Daniel Burke nato a…etc..etc e Dorothy Ross nata a..etc etc…>> - l’altro punta loro addosso una torcia.
Foto rispondenti. Date plausibili. Documenti falsi in ogni caso, tutto a posto.
Rilassati. Calmi. Lucidi.

<<Anche il libretto di circolazione, prego..>> - baby K. tira fuori dal cruscotto i documenti dell’auto, falsi anche quelli, e li passa di mano a J. che li consegna all’agente. Tutto in regola.

<<Grazie Mr. Burke, posso sapere le ragioni del viaggio?>> - chiede il più intraprendente dei due, tenendo ancora i loro documenti in mano, carezzandoli fra pollice e indice.
L’altro gira intorno all’auto e si ferma dal lato del passeggero appoggiando una mano al tettuccio della macchina, osserva baby K.

<<Piacere agente, puro piacere, sto portando la mia ragazza a fare una piccolo viaggio in Messico per le vacanze..>>

<<Sì, fa bene! Vada a fare un giro sulla costa atlantica a Poza Rica se ha l’occasione di passarci, è splendida, merita davvero una puntatina..>>
<<Certo agente, grazie del consiglio, che ne dici baby K. amore, ti piacerebbe?>>
<<Oh, si potrebbe…adoro l’oceano..>>
<<Vuole sapere altro agente?>>
<<Si, veda..non è per fare il maleducato ma devo chiederle di lasciarmi guardare dentro la borsa sul sedile posteriore,  sa, è una questione di principio celebrazioni o no noi si deve fare il nostro lavoro, per la patria..>> - la biondina sorride allo sbirro che sta dalla sua parte, appoggiato alla Plymouth, chinato verso il finestrino. Visino d’angelo spacca cuori.

<<Certo, non c’è nessunissimo problema..prego agente, come fosse a casa sua..>>

Il piedipiatti fa un cenno d’approvazione. I due dentro la guardiola sono ancora assorbiti dal televisore. Luci al neon. La notte nera e selvaggia avvolge ogni cosa.
Respiri veloci. Tutto d’un fiato. La determinazione. Seriamente, non ci si può pensare su più di  tanto. Mai abbassare la guardia.
Gli danno neanche modo di prendere fiato, aprire la portiera, mettere il naso dentro e guardare in quella fottuta borsa.

Gli sbirri hanno neanche il tempo di estrarre la pistola d’ordinanza che i due hanno già tirato fuori i ferri carichi da sotto i sedili anteriori e sparano all’impazzata, massacrandoli entrambi con due colpi a testa in pieno volto, così, a brucia pelo. Lisci. Hai capito la biondina. Sangue che schizza dappertutto, fiotti caldi sulla carrozzeria e sui vetri della Plymouth Fury, sulla vetrata del baracchino, sulla strada e sulle loro facce; sul bel visino liscio di lei e sul naso da pugile di J.; i corpi riversi a terra colano broda rossa sull’asfalto, ammazzati.
Due schegge folli davvero.
Baby K. non smette di sparare un attimo, svuotando il caricatore in direzione della guardiola, nasodapugile J. mette in moto e sgommano via; danno neanche il tempo agli altri due di intervenire. Neanche il tempo di vedere la targa. Di guardarli un istante bene in faccia o di estrarre le pistole per rispondere al fuoco che sono già spariti nel buio. Una maledetta furia rossa che corre attraverso la frontiera

<<Woo! Ah, ah baby!!>> - fa J. urlando. Pazzo.

Lei ride isterica, si leva il sangue dalla faccia lustrandosi accuratamente il visino con un asciugamani e s’accende un’altra sigaretta.
Corrono all’impazzata, nell’aria più fresca della grande notte; ancora un miglio in direzione della dogana messicana. Neanche il tempo ai due di avvisare i colleghi oltreconfine, più avanti.
Arrivano al posto di blocco del casello, quattro guardie anche lì. Facce da messicani; fanno loro cenno di arrestarsi agitando le mani.
Si accorgono che non hanno nessuna intenzione di dargli retta più di tanto; l’auto lanciata a tutta velocità sfonda la barriera ululando di rombi e ferraglia che si scontra con ostacoli solidi senza frenare e investendo uno dei quattro gendarmi che non fa a tempo a schivare quella corsa folle. Scrocchiare d’ossa sotto le gomme. Due degli sbirri sparano alle calcagna della macchina che si allontana volando attraverso la frontiera gridando e dibattendosi veloce di furore puro. Trans agonistica.

J. sbatte le mani sul volante aspirando le guance ancora sporche di sangue fra le mascelle, ritraendole fra le due linee di denti. I suoi occhi splendono.

<<Che divertimento baby, che divertimento..Oh oh, torniamo indietro e rifacciamolo!>> - scherzava soltanto.. ma si sentiva esattamente come doveva essersi probabilmente sentito Richard Ginther tagliando il traguardo per primo nel grand prix del 1965 a Città del Messico dopo aver stracciato ogni record precedente. Eterno.

<<Oh J. let’s go! Que viva Mexico! Ah, Ah! Wooo!>> - urla come una pazza all’immenso cielo nero.

Le undici e qualcosa della notte.
eccoli in Messico. Bienvenidos en Mexico. Echi di fuochi d’artificio in lontananza oltre la frontiera.
Una furia rossa che corre lungo il serpente americano. Sparati sulla lingua silenziosa d’asfalto che conduce a Juárez. Eccola lì, la città, sul filo dell’orizzonte, con le sue luci sfere di chiarore che irradiano verso l’alto bagliori e fumi, risa e grida e pianti.
Fermano la macchina sul margine della strada puntandola verso il pendio boscoso e ripido più in basso, a due miglia fuori dalla superstrada verso la città. La notte messicana vigorosa e tersa popolata da suoni d’animali selvatici notturni e riverberi d’arcaici riti sacrificali avvolti di mistero.

<<Lasciamola qui, prendiamo la borsa, il resto della roba e andiamo, andremo avanti a piedi.. e passami un asciugamani pulito devo togliermi il sangue dalla faccia prima che si secchi, veloce>> - J adesso parlava a baby K. lentamente, per non tralasciare niente.

Baby K. gli passa l’asciugamano dopo averlo bagnato leggermente con dell’acqua dentro una boccia di vetro, senza parlare; J. si pulisce, emette sospiri lenti. Sono zitti ora. Ansia che cala.

<<Lasciamo tutta la merda qui.. su, scendi, veloce baby K.>> - nessuno nella notte, benedetto buio cieco.

Mette la folle, prendono la borsa dal sedile e il resto delle loro cose nel portabagagli, smontano lestamente.

<<Hey baby sono sporco da qualche altra parte? Non mi riesce di vedere nulla..fa un favore..>> - si è tolto la camicia sporca e ne ha presa un’altra dal borsone che stava dentro il bagagliaio.
<<No, sei pulito, aspetta però.. – gli leva uno schizzo di sangue rappreso dall’angolo della bocca, passa il pollice sulle sue labbra e lo bacia – a posto così J… - gli carezza le spalle.
Si toglie la maglia sporca anche lei restando a torso nudo per cambiarsi.
J. le osserva i seni succosi, la vita ben fatta e il ventre sinuoso, attraente.  E’ proprio bella.

<<Sei una dea baby, una piccola dea davvero baby K.! Tieni, qui ci sono i nostri nuovi documenti e altre cose che ci servono per il viaggio, stacci attenta..>> - le dà il borsone in mano.

<<Toglimi una curiosità J., perché hai lasciato questa cazzo di borsa sul fottuto sedile? Se l’avessi sbattuta nel retro magari gli sbirri non ci avrebbero chiesto niente..>>

<<Vuoi la verità baby? Volevo che mi dessero una scusa per sparare.>>

Eccoli. Cambiati. Puliti. Nuovi.  
Si accendono tutt’ e due una sigaretta. Si sorridono silenziosamente. La notte messicana soltanto, a fare da spettatrice.
Spingono assieme la favolosa Plymouth Fury ‘58 verso la scarpata che scende ripida scivolando giù in mezzo alla boscaglia, l’auto fila giù per il dirupo intricandosi di rampicanti e vegetazione, giù verso il fitto della macchia. Uccelli disturbati dal casino dell’auto che corre giù per il pendio si alzano in volo. La splendida furia rossa si ferma solo molto più in basso dentro un intrico di mesquite e agave. Fine della corsa.  Addio meraviglia.

Nel frattempo le risonanze dei fuochi d’artificio che venivano dal di là del confine s’erano fatte sempre più forti. Migliaia di migliaia di fuochi illuminavano il cielo con colori accesi, tuonavano nelle tenebre come colpi di pezzi d'artiglieria celebrativi. Uno spettacolo incantevole di stelle artificiali che si dissolvono in fumo.
Erano restati a guardare quello splendore che veniva dall’alto del cielo per un po’, stretti assieme. Guardando a nord potevano vedere l’intera volta celeste esplodere e tingersi di fiamma da un capo all’altro della federazione.


<<E’ l’ora di andare baby, giriamo i tacchi..>> - J la prende stringendola sottobraccio, una borsa per uno, s’incamminano in direzione del sud nella notte illuminata dai fuochi, pieni di fiducia e di speranze camminando lungo la strada verso il chiarore promettente della città.
<<Andrà tutto bene piccola, vedrai, andrà tutto bene...>>







“Our Second President would be proud that on July Fourth more fireworks are set off than any other celebration in the world.”
[Orgogliosa cittadina statunitense; commentando le parole di John Adams]





giovedì 13 gennaio 2011

FUOCHI D’ARTIFICIO




(MEXICAN GRAND PRIX PART I)





"I believe that it will be celebrated by succeeding generations as the great anniversary festival... it ought to be celebrated by pomp and parade, with shows, games, sports, guns, bells, bonfires and illuminations from one end of this continent to the other..."
[John Adams, secondo presidente degli USA; scrivendo a sua moglie a proposito della giornata dell’indipendenza] 









(fate partire il pezzo e ascoltatelo, buona lettura..)








Domenica 4 Luglio 1971.
Circa mezzogiorno.

Una furia maledetta corre lungo il serpente americano. Due tipi: un uomo ed una donna; non più di 30 anni a testa, lanciati a velocità folle dentro una Plymouth Fury rossa.
Le dita acuminate del sole alto sul confine che corre fra Colorado e New Mexico picchiano la piana desertica come lingue di fuoco carezzanti la polvere. Cocenti. Un vento rovente soffia da sud.
Le unghie di lei, smaltate di rosso sgargiante, battono nervose sul cruscotto. A ritmo. Mastica la gomma e prende bocconi d’aria emettendo sospiri veloci. Sbuffa.
Un caschetto biondo incornicia meravigliosamente quel suo viso delicato che guarda fuori dal finestrino attraverso gli occhiali da sole. Indossa un t-shirt bianca, senza reggiseno, e dei jeans scoloriti con uno strappo aperto all’altezza del ginocchio.
L’orizzonte liquido tremola seguendo i movimenti delle correnti d’ aria rovente che evaporano dalla superstrada; ondeggia sinuosamente davanti la macchina in corsa.
Il respiro rapido del giorno che si contrae trattiene le ruote incollate alla strada . La smisurata desolazione del continente americano si scioglie sul margine della highway che fila dritta in direzione sud.

La Plymouth Fury brilla irrorata di calore, lucente, sfrecciando lungo l’interstate 25.
Liscia. Vermiglia. Veloce.
Mangiandosi miglio dopo miglio la strada.
Come fila.

Lui è alla guida. Cicca in bocca; braccio fuori dal finestrino. Ha addosso una camicia a quadri verdi e bianchi che porta con le maniche arrotolate lungo le braccia abbronzate, semiaperta sul petto; una testa di capelli chiari e folti mossi dal vento che entra dentro. I grossi occhiali da sole appoggiati al naso camuso da pugile. A goccia. Tira dalla sigaretta velocemente. Labbra piene. Nervoso. Gesti sicuri. La mano che tiene il volante è ferma; strafottente. Ha un sorrisino sarcastico stampato sulle labbra mentre assaggia l’orizzonte d’asfalto avanti a sé. Tira qualche occhiata alla biondina al suo fianco di tanto in tanto. Solo strada.
Respirano velocemente. Bruciano.
Sono in corsa senza sosta da più di cinque ore.
Cristo come filano.

<<Finalmente ci lasciamo alle spalle tutto, baby, ce la faremo vedrai!>>
<<Dobbiamo stare attenti J. , ho come il presentimento..>>
 << Tranquilla baby, andrà tutto bene, deve cazzo, ora sta un po’ zitta e ricontrolla i documenti, cazzo.>>

Respiri veloci. Tutto d’un fiato. La decisione. Seriamente, non ci si può pensare su più di  tanto.

Come fila la Plymouth.
Una saetta.
Dietro di loro Denver e Colorado Springs; e Pueblo. Le Rocky Mountains.
Ai lati della strada, sulla Main Street di Trinidad, i caffè colorati e le tavole calde sono gremiti di gente. C’è aria di festa: folti gruppi di operai a giornata in vacanza e di perdigiorno trinca birra scherzano e bevono davanti ai drug store in stile pueblo revival.
Chicani e tipi bruni scuri di sole per il lavoro nei campi o alle trivelle ad est di lì, facce da rednecks, facce americane.
Festoni e coccarde appesi in giro per tutta la città in occasione della festa dell’indipendenza. Tutto pronto per la grande celebrazione americana.
Una coppia di hippie fa l’autostop al margine della carreggiata. Lui in piedi, pollice fuori. La ragazzina, ben tornita con la carnagione chiara e un accenno di lentiggini sul naso, è seduta sui due zaini; ha occhi verdi e le si possono vedere i capezzoli attraverso la magliettina sottile. Seni acerbi.
I suoi capelli chiari si muovono con la brezza; ha l’aria stanca.
Filano come fusi oltre gli autostoppisti, superando quel piccolo esuberante centro abitato, via verso il sud.

La Plymouth sfreccia attraverso il confine. Welcome to New Mexico.
Poche nubi nel grande cielo turchese. Assoluto. Il braccio fuori dal finestrino. Gli occhiali a goccia.
Verso est le file di mulini a vento si stagliano sull’azzurro.

<<Mancano ancora cinque ore alla frontiera, dobbiamo correre Baby K., dobbiamo pestare sull’acceleratore.>>

Lei fuma sigarette una dietro l’altra, si sistema i capelli . Si accoccola al sedile, con i piedi fuori dal finestrino mentre riguarda i documenti da esibire alla dogana. Mani di donna in boccio.

<<Senti, c’è tutto. Non dovremmo avere problemi. Oh cazzo come sono eccitata!>> - tira fuori uno specchietto tondo dalla borsa e si dà una controllata al bel visino - <<Fermiamoci a mangiare. Ho fame, e devo pisciare, fa’ un favore J…>>

Sbatte le ciglia graziosamente, rivolta a lui, stringendo le mani giunte fra le cosce, dondolandosi leggermente, piega dolcemente il capo, tendendosi verso la  sua spalla destra, per convincerlo a fare tappa. Gli bacia il collo.
La ferma mettendole la mano in faccia.

<<Falla in corsa, non ho intenzione di fermarmi se non una volta attraversata la frontiera, ci siamo capiti baby?>>
<< Certo che sei stronzo.>>
<< Devo rispiegarti la situazione? Devo ricordarti cazzo abbiamo dentro quella fottuta borsa lì dietro? Sta zitta.>>



Filano. Di nuovo solo una distesa arida desolata e qualche abitazione di agricoltori di tanto in tanto.

<<Senti, devo pisciare, J. non continuare a fare lo stronzo ti prego..>>
<<Ok baby, alla prossima stazione mi fermo, ma solo perché devo fare il pieno. Lo stretto indispensabile e niente cazzate, bada!>>
<<Oh, grazie al cielo! Non ce la faccio più a tenermela.>>

Respiri veloci. Tutto d’un fiato. La decisione. Seriamente, non si può stare lì a pensarci più di tanto. Sarebbe da scriteriati.

Fermano la macchina ad una stazione in una località anonima fra Watrous e Las Vegas. La Vegas sbagliata. Terra fertile.
Alla pompa di benzina c’è un giovanotto dall’aria tarda. Fulvo e paffuto.

<<Fammi il pieno ragazzo.>>
  
Gli mette in mano le chiavi per aprire il serbatoio sorridendo, da dentro l’auto; lo fissa attraverso lo specchietto, osservandolo mentre armeggia con la pistola, la bionda scende a sgranchirsi poi appoggia il suo bel sedere alla fiancata della Plymouth che scotta dannatamente per il sole. Si sistema gli occhiali provocando il giovanotto che la fissa con la pistola salda in mano.
Il tardo finisce di fare il pieno. Bofonchia il prezzo piegandosi verso J. con una mano sulla fronte per proteggersi gli occhi dalla luce accecante del pomeriggio. Pagano e rimettono in moto.

<<Dai, mangiamo qualcosa, questa è l’unica sosta, poi te ne stai buona fino in Messico, ok baby?>>

Lei risponde con un cenno, e un bacio sulla guancia.
La allontana bruscamente.

<<Non sono in vena di baci baby, voglio portare il culo fuori di qui prima possibile. Veloce. Piscia, mangia e andiamo. Mai abbassare la guardia baby.>>

<<Pfff, tu e le tue menate da boxeur esaltato..>> - soffia la biondina.

Parcheggia la Plymouth fiammante proprio davanti la vetrina del road bar. Smontano, lui sputa a terra e prende la borsa dal sedile posteriore.

Entrano nella piccola tavola calda. Deserta anche quella come tutta la pianura circostante. Non un anima viva a parte un ciccione dietro il banco, una cameriera di mezza età e un ragazzo, anche quello dall’aria poco stimolata, che sta mezzo nascosto affacciato al pass della cucina. Conduzione familiare.
La TV è accesa e parla degli imminenti festeggiamenti che si terranno nella notte in tutto il paese per la festa dell’indipendenza. Ma non c’è aria di festa dentro quel posto. Non più di tanto.
Ordinano un paio di piatti di pollo fritto con patatine, acqua e due fette di cheese cake. Giusto il tempo di aspettare che il ragazzo ritardato frigga quel cazzo di pollo. Baby K. si fionda in bagno. Intanto che aspetta, seduto al tavolo da solo,  la cameriera porta a J. del caffè.
Mangiano in fretta e furia. Piscia anche lui dentro il cesso squallido che hanno tutti i posti che stanno lungo le strade.
Pagano, sorridono, escono. Non una parola a nessuno.

<<E buona festa!>> - fa J.  al grassone dietro il banco, uscendo.
Saluta attraverso il vetro scimmiottando un saluto militare, alzando il braccio con il quale tiene il borsone.

Di nuovo in macchina. Cicca. Braccio fuori.
Pomeriggio inoltrato. Ancora la strada.
Neanche l’ombra di polizia per le strade del New Mexico. 4 Luglio. Festa. E gli straordinari sono costosi. Personale in servizio dimezzato. Dunque pattuglie ridotte all’osso.
Filano. La lancetta del contakilometri segna le 98 miglia orarie.
Due folli che cavalcano un bolide rosso dentro la solitudine della JFK highway.
L’aria sempre torrida. Le nuvole veloci su in alto.
Come fila la Plymouth Fury con quei due tizi dentro. Solo strada e ancora strada.











martedì 4 gennaio 2011

VANISHING POINT

La bruma di questo giorno estraneo,
respiro dell’alba di stamani
è scesa sulle case, per la strada
e tutt’intorno, addosso ai passanti,
sfuocando i contorni chiari,
mordendomi di freddo le mani.

E tutto questo fare proprio m’uccide
che l’essenza è nello svanire;
l’infinitesima parte di quegli occhi
indifferenti che mi fissano
dagli usci dei porticati mi fa sentire
il nostro agire come assenza.

Sei sparita da qui e non c’è ora
in cui i tuoi seni non appannino
le mie parole, e non c’è attimo
in cui non mi sconforti, ché t’ho persa.

Il turgore nelle labbra delle cagne
che mi si accostano  addosso perché
possa sentire l’odore delle loro voglie
mi toglie il fiato, mi percorrono come
assilli il collo, ma voglio tagli.

Lame di coltelli che mi penetrino
a fondo la carne, non svaghi il cui esito
sia insignificante al mutare delle cose.




Photo via DanLoc78 (pentaxforums.com)




E non c’è ora in cui non senta il
calore dei tuoi baci, e non c’è tempo
in cui non senta che mi brucio
ad allontanarmi
fuggendo – stando – fermo,
vedendo – senza – guardare.

Scoprendo le tue spalle dal
vestito più dolce; te lo tolgo
di dosso soffiando nel tuo grembo
il battito del respiro vitale.

Ti spoglio ogni momento,
sfilo la tua veste fino ai piedi e
poi sei nuda. E poi sono nudo pure.
Ci uniamo esplodendo, bellezza ricomposta
splendendo, scontornandoci sfumando
dentro il buio.










lunedì 3 gennaio 2011

PIANURA PADANA

P.P. nebbia e disgusto,
cancelli e giovani di buone speranze
P.P. la puttana che sorride, singulti elettrificati
e fari nella notte
P.P. la lotta per farcela
lottizzazioni selvagge, la politica
del mattone
P.P. campi d’asfalto, parcheggi
code d’automobili giù lungo
il fiume fino alle foci
P.P. voci di urla ed abbaiare
di cani, siepi per la legna
recinzioni, investimenti
decisamente a breve termine
P.P. un vecchio si masturba
alla TV della prima serata
P.P. tipe venute dal nulla
che fanno televisione
P.P. California costa Nordest
cowboy epilettici odianegri
Domenica gioca la squadra si guarda
il partito del pallone
P.P. gli appalti svenduti, le mense piene,
i dentidisega in fila per il metadone
P.P. l’orgasmo rubato, galline sbraitano
da un megafono l’odio;
il Nord è vagamente relativo
P.P. giù giù nelle paludi e su per
le montagne rosse, zanzare,
cacate e ancora recinzioni
P.P. donne frigide, matrimoni scombinati,
opportunità sfruttate sprecate sbiadite
P.P. suonare campanelli, clacson,
sbattere la moglie sul tavolo della cucina
e rifarlo la notte in macchina con una negra
in via delle discordie dietro lo stadio
P.P. il giardino di fronte, il giardino
sul retro, l’orto coltivato a pallottole
P.P. mi comprerò un fucile
P.P. il tuo mare ti specchia sottomarino
mediocre leviatano sornione P.P.
puttana caotica investimenti conto terzi
in terra di nessuno P.P. alta densità & bassa marea
merda che riaffiora a galla galli in pollai larghi
kilometri quadrati di campi da calcio
P.P. Domenica mattina in chiesa
pomeriggio carte bestemmie e vino
P.P. all’ombra dei campanili
delle strenue moschee, delle giunte leghiste;
mosche che pappano torte di merda


P.P. si farà con quel che si ha
bar di provinciola, cattive vibrazioni, cocaina
a neve sulla notte piana, buia scimmia urlatrice,
abitudine
P.P. i confini dell’impero, le frontiere del mistero
cavalcano ferri veloci
P.P. ferro e fuoco, acqua che sfonda argini, quote
di sottomissione, politiche agricole,
politicanti agricoltori, agriparty
P.P. i cimiteri pieni & gli ospedali
le badanti rumene, le puttane imperiali
P.P. la cura per i dettagli, la vendita al dettaglio,
i palazzi d’ingiustizia
P.P. strade serpenti perse
nella campagna, un’ unica grande città persa
a macchia di leopardo
P.P. tutta un’ enorme periferia bianca P.P.
una banca P.P. il suo primo pompino ad undici
anni appena, la seconda pera a quindici
P.P. le ore di catechismo, il doposcuola,
il preallenamento
P.P. supersuore si ergono in volo, i veli mantelli
eroici di senso comune
P.P. l’alternativa sociale al nulla è il niente
P.P. il fumo mattiniero, il vapore che sale
immobile dai fossi
P.P. i banchi dei templi, i banchi dei mercati,
dei pegni, degli impegni, delle osterie,
degli spaccini che fanno segni
P.P. prepotenza postcontemporanea
P.P. postpotenza precollasso
P.P. nebbia, allevamenti di nebbia
pesce, fumo, alligatori, maiali
P.P. il tuo salame infilato nel ventre
del consumatore
P.P. pompini ma niente sesso
prima del matrimonio
P.P. poteva andare peggio
P.P. il cielo ti spinge giù
affondi, confondi, ti diffondi
P.P. falò in centro
P.P. lucciole & zanzare, puttanieri
fatti di moschicida
P.P. muri alti di recinzione
non uscire non entrare
P.P. terracquea piovra succhia gioventù
P.P. partorita dall’oceano, un’eco di dischi cattivi
e vino nuovo
P.P. farò centro, arruolali P.P. farmacia P.P.
farmaco P.P. piscio che cola dal selciato sotto
i portici
P.P. città d’antenne paraboliche
parabole castigate & caste, sudiciume
P.P. stalle allestite a sale da ballo
P.P. le feste di paese P.P. si vede che è
un parrucca, si nota il trucco
P.P. sprofondi di noia
P.P. anni di sacrifici
P.P. era un così brava persona
mai un torto a nessuno P.P. lo scoutismo,
l’autismo, il pragmatismo
P.P. alta densità bassa fedeltà
P.P. spazi angusti, piazze P.P. parcheggi
multipiano cinema multisala, zone industriali
del divertimento
P.P. prendi il toro per le corna P.P. datti
un tono
P.P. non sei l’America, sei molto più
crudele & non possiedi vasti spazi
P.P. tutto circonvallazioni esterne e canali
inondazioni, palinsesti in onda, TV locali
P.P. la prima sega del mattino
P.P. sul livello del mare
P.P. anche sotto il livello del mare
P.P. l’hai pensato, è l’intenzione che conta,
attenzione distorta, coperta corta
P.P. pattuglie & ronde, rotonde
P.P. teli bianchi su cadaveri ai tuoi incroci,
donne frustrate che si danno per la nausea
P.P. il danno ormai è fatto
P.P. poteva anche andare meglio
P.P. mogli e buoi dei paesi tuoi,
deroghe all’uso di droghe
P.P. mutui lunghi vite (più d’una)
P.P. generazioni mute
P.P. rabbia
P.P. ingoia carne fresca
P.P. cosa diranno ora?
P.P. memoria corta lingua lunga
P.P. complesso abitativo anormale
sconfinata assenza, viva di vite
che succhi ogni ora.
P.P. mai sazia.







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