giovedì 3 marzo 2011

COME IL CURRICULUM CHE NON SCRIVERAI MAI (PARTE 2)









Quell’ingresso aveva qualcosa di familiare nonostante fosse la prima volta che ci dava un’occhiata attenta, con la luce del giorno. C’erano foto di famiglia. Alle pareti un attestato di vendita di una moto d’epoca e due stampe in bianco e nero di Parigi; manco a dirlo la basilica del sacro cuore di Montmartre e la Tour Eiffel.
Una foto di lei da bambina che sorride sulla spiaggia, le sue labbra pronunciate già in fiore, gli occhi chiari illuminati dalla luce estiva solo un po’ sbiaditi per via della stampa dal rullino. Era proprio carina, pensava. E’ un peccato dopotutto mandare tutto a puttane come al solito. Ma bisogna.
Si stava perdendo ad esplorare i ninnoli di casa quando guardò l’ora sull’orologio da tavolo e si rese conto che doveva muoversi. Erano le otto e mezza. Era tardi. Doveva correre a prendere Fred.

S’erano accordati la sera prima, quando se l’era telata in fretta e furia da casa di Aurora, lasciandosi alle spalle tutta quell’aria noiosa che s’era creata a quella benedetta cena fatta tutta di discorsi imperniati sulla retorica da studentelli pusillanimi di filosofia che citano Marx a colazione e si tengono le chicchette su Heidegger per le cene fra colleghi in modo da dare almeno l’impressione di essere belli svegli o comunque darsi un tono con i presenti. Capite da soli che a sciorinare stronzate su Nietzsche non gli è mai riuscito di scopare proprio a nessuno eccettuati forse i casi di piccoli capetti della rivoluzione di ogni epoca; tipi infimi con le mani lisce e tanto buontempo. Nicola sapeva bene questo, conosceva tutti i nomi dei capetti-altern-collective del suo tempo e nella sua testa s’immaginava che perfino il buon Karl avrebbe messo fine a quella sfilza di conversazioni fondate sul niente con un risoluto pugno sul tavolo chiedendo silenzio e un altro bicchiere di buon vino renano.
Ma solo gli stronzi c’hanno i megafoni in mano; la maggior parte degli uomini con le palle se ne va avanti a testa bassa. E non pensava affatto alla gente perbene, quella non c’entra, avere le palle non ti fa necessariamente essere una persona rispettabile. Direzioni. Nicola s’era incantato nel piccolo atrio a pensare, lento, nonostante l’ora.

Il suono di un colpo di clacson che era filtrato dalla strada attraverso i vetri del balcone del soggiorno lo aveva fatto riatterrare nella realtà.
Afferrò da terra la borsa e il giaccone appeso, corse di nuovo attraverso il corridoio verso la camera, gettò tutta la roba per terra. Appoggiando il foglio ad una mensola, per usarla come piano per appoggiarsi a scrivere fu investito dai rimorsi – Che cazzo le scrivo ora – fissava ancora le decine di foto alle pareti, nel momento in cui la sfera della penna aveva toccato la pagina ogni dubbio era scomparso. Bisogna.
Le scrisse un bigliettino sommario, qualche decina di parole veloci in stampatello senza pensare - è stato bello – senza grande passione – ho ancora i tuoi succhi su di me – etc, stronzate – meglio se non ci vediamo più - .

A Nicola lei piaceva, ma non voleva prendersi lo sbattimento di sceglierla. Era piccolina e dolce, una ragazza da paura. Era stato proprio incantevole aver passato la notte assieme. Ma perché prendersi la briga di farlo accadere ancora? Era perfetto così.
E in quel momento non era in grado di tirar fuori altri pretesti quindi chiuse il foglio in quattro e ci scrisse sopra “per S.” posandolo sulle coperte sfatte del letto a due piazze, ci appoggiò affianco anche tutti i cioccolatini che aveva trafugato da casa d'Aurora, saranno stati una quindicina in tutto.
Ci sono mattine nelle quali non ti alzeresti mai dal letto, e quando stai quei due minuti in dormiveglia ancora sigillato dentro le lenzuola, la sveglia che suona monotona il suo canto di condanna, e pensi alla buone ragioni che avresti per startene lì l’intera giornata e poi finisci a convincerti che i doveri da sbrigare sono una delle cose che ti fanno sentire meno l’inutilità di questo mondo e allora scendi dalla giostra e metti i piedi a terra (e magari fuori piove) ma vorresti davvero poter girare i tacchi e rificcarti sotto le coperte finché tutto questo delirio non sia finito e poi ci sono altre volte nelle quali invece vorresti sgattaiolare via dal materasso molto prima che il sole si sia alzato, prima che la notte sia finita; toglierti dai coglioni al più presto e non dare spiegazioni, trovare la forza di farlo mentre lei dorme ancora, ma ci vuole manico per andare fino in fondo (e in genere il fatto di essere ancora mezzo sbronzo di gin tonic non aiuta molto a portare a termine con successo un’operazione del genere), devi contare la comodità del giaciglio e la stanchezza.
Il più delle volte ti giri dalla tua parte, la senti che dorme e pensi – fanculo non mi alzo, al buio inciamperei sicuramente fra le sue scarpe, e poi dove ho lasciato le chiavi, e poi sono le quattro etc.. – trovi migliaia di ragioni che ti tengono steso lì, così punti la tua sveglia alle sette e ti metti a dormire e preghi dio di essere capace ad alzarti la mattina che viene e, se proprio ti dovesse andare di lusso, di riuscire a chiuderti la porta del suo appartamento  alle spalle senza averla svegliata.




  

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