sabato 9 aprile 2011

ZOE



(una storia breve di Emilio Brinis)




Il giorno in cui si  recò agli studios per firmare il contratto indossava dei vecchi blue jeans sbiaditi e stretti sul sedere, delle scarpe da ginnastica rosse e bianche ed il suo giubbino in pelle beige. I capelli biondi ossigenati le scendevano lisci sulle spalle. Lungo I corridoi incontrò quelle che a suo avviso dovevano essere altre attrici, magari ricche e famose; indossavano scarpe con i tacchi alti e collant, abiti corti e stretti, pettinate e truccate in modo seducente e impeccabile…erano proprio perfette, quasi finte. Non la salutavano, procedevano spedite e serie, come in ipnosi…non le piacevano.
“Beh, chi se ne frega” - pensò,-  “sono qui per un po’ di soldi, e magari per una volta sola può essere divertente”. 
Incontrò il manager che si sarebbe occupato di lei e firmò il contratto.
Scacco Matto”, che nome idiota pensò. Uscendo dagli studios osservò la Valley, la magnifica San Fernando Valley, con le sue grandi distese ed il cielo infinito e si sentì leggera, libera…serena come chi finalmente trova la soluzione del momento. Sorrise.
Prese la macchina e guidò e guidò, ascoltando musica americana sotto il grande cielo americano. Cantò. Poi tornò al motel e rise dello squallore della sua stanza...era in viaggio, e non voleva finisse mai. Quella sera uscì, bevve delle birre e si divertì. Fanculo a tutti quelli sfigati che lavorano otto ore al giorno per cinque giorni alla settimana, magari per pagare un mutuo o mantenere la famiglia...Pensava al futuro e vedeva lunghi interminabili viaggi in autostrada, vedeva la sua auto sfrecciare attraverso stati e confini. Niente progetti. Niente futuro. Vita e basta. Esistenza allo stato puro.
Il giorno del film si sentiva nervosa; aveva scopato con molti ragazzi prima, alcuni dei quali erano sconosciuti, ma questo non l’aveva nemmeno mai visto, non ci aveva mai scambiato una parola. E poi...farlo davanti ad una cinepresa...non le era mai successo, e un questo fatto un po’ la inquietava.
Ad ogni modo...Scacco Matto” era un gonzo ambientato in una sala da gioco di provincia; le attrici erano tutte ragazze molto giovani, gli attori un po’ meno. Non appena vide la sala pensò che non le sarebbe mai venuto in mente di fare sesso in un posto del genere; era squallida e triste, vecchia…un posto quasi fatiscente. Chissà perché non era ancora stata demolita.
Le due donne sulla cinquantina addette alla preparazione delle ragazze le sistemarono un po’ i capelli e la truccarono in modo lieve...entrambe portavano i capelli rossi colorati, acconciati attorno a dei bigodini di plastica, durante il servizio masticavano gomme o fumavano sigarette. Le ricordarono che durante le riprese, dopo essersi sfilata la gonna e aver tolto il top, avrebbe dovuto tenere i calzettoni bianchi al ginocchio. “Che scemenza” pensò.  Non si sentiva entusiasta del preambolo della nuova esperienza.
Conobbe l’attore con il quale avrebbe girato la scena di lì a poco: americano puro, viso non molto intelligente, palestrato e rasato...le si presentò esordendo con un paio di battute sceme. Non poté fare a meno di notare che era già in erezione. Era strafatto di Viagra e cocaina.
Il regista convocò tutta la troupe ed il cast per le ultime raccomandazioni, dopodichè iniziarono le riprese. Dal momento che la sua sarebbe stata la terza, andò a sbirciare la prima scena, da dietro le quinte. Due stalloni americani purosangue, muscolosi e rasati, uno dei quali portava il tatuaggio del corpo dei marines, si davano da fare con una ragazzetta minuta, acconciata quasi come lei. Attorno al letto si muovevano il cameraman, il tecnico delle luci e del suono, ed alcuni fotografi, tutti uomini, allontanandosi e avvicinandosi alla scena. Alcuni commentavano tra di loro, valutando l’interpretazione e la qualità delle fotografie, a voce bassissima. Erano per la maggior parte in erezione, e quella sera si sarebbero masturbati. Intanto i due uomini si davano da fare con la ragazza, ma non sembrava che lei si divertisse. La scopavano come macchine.
Scappò in bagno, dove nessuno poteva vederla, per farsi un po’ di coraggio. Cercò di convincersi a non pensare a niente, a nessuno. Cercò di scacciare ogni pensiero. Ed i conati di vomito.
Fu il turno della seconda ragazza. Poi il suo.
L’uomo iniziò a palpeggiarla sui seni e sul sedere, a leccarle il collo e le spalle senza concedersi una pausa per baciarla o rivolgerle una benché minima parola. Iniziò a spogliarla e a succhiarle i seni, poi a sua volta si levò calzoni e camicia. Il copione prevedeva che lui avrebbe mantenuto il cappello da cow boy e gli stivali texani…non era molto eccitante. Le sputò sulla fica, ci infilò un dito dentro e lo mosse in modo spasmodico, come uno stantuffo a ripetizione. Lei non si bagnava. Si diede da fare con la bocca sul suo cazzo, eretto dalle sostanze assunte. Poi passarono alla penetrazione.
Aveva già fatto sesso molte volte, ma questo…cos’era? Accoppiamento meccanico, telecomandato, brutale…quel cow boy la scopava con furia quasi animalesca. I fotografi scattavano, scambiandosi qualche commento; quanti occhi erano puntati su di loro. Quanti lo sarebbero stati. Il bruto continuava a muoversi avanti e indietro, dentro e fuori di lei, gemendo e gemendo rumorosamente. Anche lei gemeva. Fingeva. Non provava nulla, o almeno nulla di buono. Fissò per un istante la folla della troupe. Le venne in mente il fratello.
“Basta!” urlò singhiozzando. “Mettimelo nel culo e facciamola finita!”
Il cow boy eseguì l’ordine come un robot. Come un cazzo di soldato scelto. Entrò con un po’ di fatica ed iniziò a stantuffare  a tempo. Questa volta le bruciava. Faceva male.
Finalmente si staccò, la voltò e le venne sul volto.
La scena era finita; il cameraman ed i fotografi si ritirarono. L’attore si stese sul letto, sudato e sfinito. Ancora in erezione. Una bomba queste nuove sostanze. Lei corse nel camerino, si pulì il volto e la vagina con delle salviette di carta e si rivestì. Corse fuori della sala da gioco e corse fino a che non trovò un taxi che la riaccompagnasse al motel.



Pianse per tutto il tragitto e, una volta giunta nella stanza, si levò i vestiti e si ficcò sotto la doccia.
L’acqua scorreva calda sul suo corpo.
Fu una doccia lunga, lunghissima. Quando uscì si guardò allo specchio, iniziò a pettinarsi i capelli e riprese a singhiozzare. Si sentiva veramente di merda. Svuotata.
Uscì a comprare una bottiglia di whiskey e delle birre, poi tornò al motel. La stanza era veramente squallida, triste e deprimente. Posò le bottiglie sul tavolo. Sola. Quella notte bevve e pianse, pianse e bevve. Il suo grande sogno sembrava tramontare…sembrava un’illusione così sciocca, così…così…
Si svegliò che il sole era alto;  aveva un gran mal di testa e lo stomaco bruciava. Prese un’aspirina, raccolse le sue cose e lasciò il motel. Posto del cazzo.
Salì in macchina e mise in moto, partì. Accese la radio, che in quel momento stava passando la sua canzone preferita. La sua canzone, quella dei suoi sogni e dei suoi viaggi in macchina…aveva un suono diverso, era come una voce che non voleva sentire…una voce che le faceva male.
Si fece coraggio e guidò fino agli studios per ritirare il suo denaro. Fu accolta con estrema indifferenza; il manager la fece firmare e le mise in mano l’assegno senza nemmeno salutarla, poi la liquidò alla svelta. Era impegnato.
Nel parcheggio incrociò delle ragazzine; erano lì per un provino. (La macchina tritacarne non si ferma mai).
Lasciò la Valley e guidò per ore attraverso il deserto, senza meta e senza musica.  Trovò un motel e si fermò in una rivendita a comprare birra, whiskey e sigarette.
Alla deriva.
Il filmato fu un successo in Internet, con record di visualizzazioni in molti siti per adulti. Contrariamente alle aspettative degli esperti degli studios, il volto sofferente di quella giovane attricetta e le sue lacrime avevano attratto una moltitudine di spettatori di qualsiasi età. Il tam-tam fu enorme e rapido nella comunità dei pornofili. (La pietà del mondo era morta assieme a Dio).
Intanto lei continuava a vagare in balia del suo malessere, sola e senza idee, senza risposte, come una sonnambula. Una sera un cameriere la riconobbe tra i clienti del fast food dove lavorava. Lei uscì di corsa, come una fuggiasca.
Dopo qualche giorno fu la volta di un benzinaio..
Il manager provò a contattarla per una nuova offerta.
Non rispose.


Licenza Creative Commons
HIT PARADE FEVER by Edoardo Canella is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Unported License.